Schiave del sesso, comprate e vendute nell’indifferenza di un mondo “distratto”
Donne vendute come schiave, identità cancellate, “desaparecidos” del sesso: un quadro allarmante, diffuso in tutto il mondo, confuso nel silenzio di tomba di una società che sembra non voler vedere.
Fra i traffici criminali, la prostituzione è uno dei “business” più redditizi al punto da essere equiparato a quello degli stupefacenti.
Per averne un’idea, basta un dato: in Italia il numero delle donne costrette a prostituirsi oscilla tra 80 mila e 130 mila e di queste circa il 40 per cento è minorenne.
Una vera e propria “industria del sesso”, con guadagni stimati fra i 2 e i 7,5 miliardi di euro di fatturato, in aumento di anno in anno.
Secondo il reportage diffuso nei giorni scorsi dalle “Iene”, “la tratta delle schiave” è un’ inquietante realtà che non conosce confini.
Si tratta di giovani donne, ancora bambine, vendute a volte proprio dagli stessi genitori o adescate con la promessa di un lavoro onesto, per poi essere picchiate, drogate e minacciate di “ fare le brave”, altrimenti finisce male...
In Italia la prostituzione concepita come prestazione sessuale dietro pagamento non è considerata reato.
Mentre lo è in termini di favoreggiamento, induzione, reclutamento e sfruttamento minorile.
Insomma, una via di mezzo tra il bene e il male, anche se in molti pensano che nel nostro Paese ci sia ancora molto da fare in materia.
Nel lontano 1958, grazie alla proposta della senatrice socialista Lina Merlin, venne approvata in Parlamento la legge 75, che sancì la chiusura delle “case chiuse”: un primo, grande passo in avanti, riconfermato poi dalla Convenzione dell’ONU in materia di Diritti dell’Uomo.
Da allora, un grande vuoto giuridico ha interessato la questione, ferma al palo da quasi sessant’anni. Molte iniziative politiche sul tema, ma nessun passo avanti…
Fra le tante, la proposta di legge che registra la “singolare”collaborazione di diversi gruppi parlamentari - dal Partito Democratico al Movimento 5 Stelle - secondo la quale si consentirebbe a chi decide liberamente di praticare la “professione” di delimitare degli spazi appositi in determinati luoghi della città e dei comuni, attivando una partita Iva, pagando regolarmente le tasse e conseguendo una regolare posizione previdenziale.
Basterà per liberare dalla schiavitù fisica e sessuale migliaia di donne dimenticate, abbandonando per una volta quel tollerante “buonismo” che ad oggi non ha portato alla risoluzione del problema?